La crisi del 2008 non sembra avere insegnato granché in merito ai conti pubblici. Un decennio dopo la grande crisi del debito pubblico, non solo il problema non è stato ridotto ma è addirittura aumentato. Soltanto pochi paesi sono stati virtuosi, altri invece hanno ripreso a perseverare nei loro sbagli.
Il problema del debito pubblico
Nei paesi poveri il meccanismo è lo stesso, ma con due grossissime varianti. La prima è che gli interessi pagati sul debito (essendo paesi poveri e meno solidi) sono più elevati. La seconda è che in molte di queste nazioni la popolazione sta invecchiando, per cui pensioni e spesa sanitaria sono in costante aumento. Quindi occorre prendere in prestito sempre più risorse, che a loro volta costano sempre di più in termini di interessi. In questi paesi il debito pubblico quindi non è una condizione eccezionale, una tantum, ma si parla di deficit strutturale.
I dati OCSE e FMI
L’elevato livello di debito pubblico è stata una delle cause della crisi del 2008. Eppure, secondo i dati OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ed FMI (Fondo Monetario Internazionale), lo scenario non è affatto migliorato, anzi. Anche se l’indicatore RSI evidenzia una crescita a ritmo più lento, il debito sovrano è pur sempre cresciuto. A salvare molti paesi è il fatto che dopo la crisi, molte banche centrali hanno abbassato – se non addirittura azzerato o portato sotto zero – i propri livelli dei tassi d’interesse. Soltanto pochi paesi però hanno capito che questa occasione andava colta subito, e sono riusciti a riportare la propria traiettoria del debito su un percorso sostenibile. Moli altri paesi invece hanno continuato ad aumentare gli oneri del debito. E non sono paeselli qualunque, perché nella lista ci sono anche Stati Uniti, Francia, Spagna, Italia, Australia.
Tra i paesi più indebitati al mondo, la classifica è guidata dal Giappone (238% di debito/pil). seguono Grecia (188%), Sudan (168%), Venezuela (159%), Libano (150%) e poi l’Italia (130%). Quando il costo dei tassi peggiorerà (ovvero le banche centrali cominceranno ad aumentare i tassi di interesse), c’è chi rischia davvero grosso.