Da un lato c’è la guerra commerciale con la Cina, dall’altro le frizioni con l’Iran. In mezzo a questi due poli c’è il mercato del petrolio, con Donald Trump che sembra quasi giocarci a farlo salire e scendere.
Trump e il petrolio
Le ultime settimane sono state intense. I rapporti con la Cina rimangono di rispettosa divergenza. A parole Washington e Pechino si aprono a vicenda all’accordo, nei fatti però c’è uno stallo continuo. Nel frattempo una nuova ondata di dazi è scattata, innescando la depressione dei prezzi del petrolio.
Le oscillazioni del mercato
E’ chiaro che in mezzo a questi due poli il mercato petrolifero non poteva che sentirsi sballottato come in un frullatore. Non a caso i fondi stanno incrementando la loro strategia spread trading per sterilizzare le oscillazioni dei prezzi. Per adesso questi ultimi restano guidati soprattutto dall’offerta, ovvero dall’OPEC. Il “cartello” ha tagliato 2,2 milioni di barili al giorno (includendo le interruzioni in Iran e Venezuela).
Secondo Bank of America Merrill Lynch, ogni oscillazione di 1 milione di barili sul mercato globale equivale a un movimento di circa 17 dollari del prezzo del petrolio. Il Parabolic Sar potrebbe quindi fare ancora su e giù per un bel po’. Ma Trump sta tremando, perché un petrolio quotato troppo alto sarebbe una disgrazia per l’economia americana. E la tensione con l’Iran esercita una forte pressione al rialzo sul greggio. E quindi siccome per l’amministrazione USA è fondamentale non far salire i prezzi del petrolio, ecco la nuova accelerata alla guerra commerciale con la Cina, un fattore depressivo per il greggio.
Il giochino di Trump continuerà ancora: da una parte tiene in scacco l’Iran, dall’altra controlla i prezzi del petrolio. Ma è un gioco pericoloso, specie per la crescita economica globale.